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Meditare, oggi, non è un hobby

Aggiornamento: 13 ago 2023


Meditare, oggi, non è un hobby

Libertà, comunicazione non verbale e manipolazione di massa

Di Cristiana Papa

Terapeuta non verbale, insegnante di yoga e meditazione


Ogni nostro pensiero, parola o azione sono il veicolo, il “significante” di un “significato” che gli si cela dietro. Quando ignoriamo il significato che ci muove dal profondo per rispondere ai nostri bisogni primari inconsci, ci troviamo nella condizione dell’essere in balia di noi stessi, degli altri e dei modelli che il sistema veicola attraverso la comunicazione verbale e non verbale. Mai come oggi il nostro inconscio è manipolato.


La realtà che si evidenzia è che siamo ormai sempre più abituati a vivere nell’automatismo e nell’omologazione, nello scivolare sulla superficie delle nostre vite e dei nostri vissuti, anestetizzati, “identificati in modelli e in pensieri non nostri” ma dettati dal condizionamento culturale di massa che neanche vediamo più e che si stratifica su quello più profondo ereditato dalla famiglia e rinforzato dalle nostre esperienze di vita, a cui diamo seguito con azioni inevitabilmente inconsapevoli. Il risultato di tutto questo è evidente, basta guardarsi intorno.


Antropologicamente siamo arrivati alla curva massima dell’allontanamento dai nostri veri bisogni per lasciare il posto all’apparire, aderendo ciecamente a quanto viene richiesto e rimuovendo tutto ciò che non è implicitamente accettato dai modelli del sistema. La comunicazione non verbale che per sua natura veicola informazioni più reali rispetto a quella verbale, oggi, proprio perché è più diretta passando da inconscio ad inconscio senza che ci si fermi a prenderne consapevolezza, sta manipolando le nostre menti.


Quando parlo di manipolazione di massa, altro termine inflazionato oggi, non voglio riferirmi a dei sistemi o poteri superiori che decidono al nostro posto, altrimenti si aprirebbe ancora un altro discorso. Mi riferisco, qui, ad ognuno di noi che come unità contribuisce attraverso il proprio grado di consapevolezza, le proprie scelte e i propri comportamenti, all’insieme del sistema in cui tutti prendiamo parte.


Per vedere uno dei tanti fenomeni sopra descritto che va alla radice del malessere di questi tempi basta prendere in esame i social, luogo in cui ognuno oggi possiede un “profilo”: ogni giorno persone accumulano “amici” sconosciuti, postano foto e immagini truccate, filtrate, manipolate e in pose seducenti (soprattutto le donne purtroppo - per un approfondimento si cerchi “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo), tutto per ricevere più like.

Ma cosa spinge ad accumulare amicizie virtuali?

Con quali criteri si scelgono questi sconosciuti?

Come mai non compaiono più volti senza trucco o senza filtro?

Come mai le donne devono mettersi così in mostra e se non rispondono a certi modelli ricorrere alla chirurgia estetica, anche da giovanissime?

Che messaggio veicola un labbro gonfiato proteso in avanti?

Perché abbiamo bisogno di gratificarci attraverso i like di sconosciuti?

Ormai tutto questo fa parte della nostra routine.


Eppure la comunicazione non verbale che si cela dietro ogni immagine o scritto è chiara; basterebbe fermarsi un attimo: l’immagine veicola sempre un messaggio subliminale che, inconsciamente arriva alla percezione di chi lo guarda. Di questi messaggi ci nutriamo e ad essi ci relazioniamo, senza che arrivino alla superficie della coscienza.

Basta veramente poco per intravedere la solitudine, il senso di vuoto, la ricerca di conferma della propria immagine, dell’essere apprezzati e validati dall’altro, la ricerca di un contatto con l’altro “filtrato” per paura di un contatto vero, la difficoltà nel vivere relazioni sane e appaganti.


Il tema centrale siamo noi, la nostra individualità ed il nostro naturale bisogno di relazionarci. Bisogni primari dell’esistenza umana. Ma perché tutta questa energia canalizzata nel “falso” non viene incanalata verso qualcosa di costruttivo per noi stessi? Qualcosa che ci faccia veramente una volta per tutte stare bene e sentirci appagati? Rimaniamo sulla superficie per non assumerci la responsabilità di fare realmente qualcosa per noi stessi.


Oggi, anche il concetto di benessere é inflazionato ed entrato a far parte dello stesso fenomeno della cultura di massa fondata sull’effimero e sull’apparire più che sull’essere; non si hanno più le coordinate per capire cosa voglia dire veramente stare bene, perché i riferimenti non sono interni ma esterni. Ci si rivolge all’esterno per sapere di cosa si ha bisogno a livello personale.

E’ chiaro che non può funzionare? Che le premesse di partenza sono sbagliate?


Se avessimo solo un barlume di coscienza di tutto questo meccanismo in cui siamo ciecamente immersi ci renderemmo conto della miserevole gabbia in cui viviamo, impotenti.

Ma allora, forse solo allora, nascerebbero domande che restituirebbero dignità a noi stessi e valore alle nostre esistenze. Domande che non sono un optional nel viaggio della vita, ma il fondamento, oggi più che mai oppresso da strati su strati di costrutti d’immensa inutilità di una società alienata, a cui si continua a contribuire con la propria ignoranza sui meccanismi che la muovono e che “ci” muovono come unità singole che ne vanno a comporre l’insieme.


La domanda inevitabile che allora potrebbe nascere da una concreta consapevolezza di questo marasma è:

“chi sono io?” e di seguito… “cosa voglio io?” per saperlo però bisognerà iniziare un’indagine a ritroso e chiedersi “cosa penso e cosa sento io?”


L’esperienza della Meditazione ci da strumenti concreti per andare in profondità a vedere chiaramente sotto la superficie di ogni fenomeno, interno innanzitutto, per poi condurci ad una visione più chiara dell’esterno. Ci permette di osservare con graduale maggiore chiarezza e profondità e con un’attitudine accogliente e non giudicante la nostra mente e il nostro sentire. Ci offre una “via di fuga”, pur rimanendo ben radicati nella realtà, dai meccanismi personali e sociali sopra descritti. Solo se conosciamo come funziona la nostra mente, il nostro sentire e i nostri comportamenti condizionati possiamo muoverci verso una reale maggiore libertà di scelta.


Nel momento in cui veramente siamo interessati a noi stessi e ci fermiamo per imparare a conoscere le nostre verità ci rendiamo conto che non siamo noi a decidere i nostri pensieri ma c’è una mente che pensa al di là della nostra volontà e che influenza ciò che sentiamo.

Ma allora, da dove sorgono quei pensieri se non siamo noi a “pensarli”?

e se poi sono quei pensieri da noi non scelti a guidare le nostre azioni?


Questo “vedere” già mette una distanza rispetto ad un’inconsapevole identificazione col pensiero automatico. Nella continuità della pratica meditativa si va pian piano oltre: si possono osservare attitudini più profonde che vanno ad alimentare la “mente di superficie” fino ad arrivare a conoscere motivazioni fondanti noi stessi. Pian piano, per riassumere, si conosce progressivamente il proprio funzionamento. La pratica della Meditazione però non si esaurisce a questo. Quello che sembra essere un “traguardo” è solo l’inizio di un processo ed è “strumento” per accedere a qualcosa di più ampio che in questo contesto tralascerò volutamente perché ciò che mi preme mettere in evidenza è la tematica sopra esposta.


Tutto ciò di cui parlo è qualcosa di estremamente concreto e pratico, infatti la Meditazione è “pratica”. Non si può apprenderla leggendo, dialogando, studiando o addirittura come è sempre più frequente oggi utilizzando un’APP. In parte perché siamo noi stessi il terreno di studio; in parte perché è l’azione concreta del fermarsi a meditare che opera cambiamenti concreti, fisici, nel sistema elettrochimico del cervello.


Le neuroscienze infatti hanno evidenziato le differenze cerebrali tra chi medita con continuità e chi no. In chi non pratica la meditazione le reti neurali sono caratterizzate da circuiti abituali, ripetitivi, sempre uguali; ecco la prova concreta delle difficoltà nel cambiamento, nel modificare abitudini. Nei meditanti di lunga data si è evidenziata invece una maggiore e più armonica attivazione cerebrale caratterizzata da connessioni di nuove sinapsi tra neuroni. Queste modifiche sono la prova concreta, per chi non pratica ed è scettico, della possibilità di stabilire nuove connessioni nel cervello che a livello pratico rappresentano l’avere una maggiore possibilità di scelta. Chi pratica con continuità e ne fa esperienza d’altro canto non ha bisogno di prove scientifiche perché lo sperimenta nel suo stato dell’essere.


Per continuità si intendono anni di pratica quotidiana seria.

La consapevolezza impegna, è disciplina.

Ma una disciplina imposta liberamente, che approda a tante gratificazioni, scelta solo se ci si rende conto che altrimenti non si ha scampo dalla prigione in cui si vive; e solo se non ci si è abbastanza anestetizzati per non soffrirne. L’intera pratica meditativa Vipassàna (meditazione di visione profonda) che origina dagli insegnamenti del Buddha storico, è fondata sulle quattro nobili verità: esiste la sofferenza; esiste la causa della sofferenza; esiste la cessazione della sofferenza; esiste una via per la cessazione dalla sofferenza.


Ecco perché è così importante meditare; ecco perché è così importante divenire consapevoli di come si funziona.

Lo scritto che segue sintetizza perfettamente il nostro funzionamento e le nostre possibilità.


L’uomo semina un pensiero e raccoglie un’azione; semina un’azione e raccoglie un’abitudine; semina un’abitudine e raccoglie un carattere; semina un carattere e raccoglie un destino.

L’uomo costruisce il suo avvenire con il proprio pensare ed agire. Egli può cambiarlo perché ne è il vero padrone.

(Swami Sivananda)

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