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Riflessioni: Percorsi, traguardi, fughe, scelte.

di Cristiana Papa

 

“Si è nella Via fin quando non la si rinnega”

P.Menghi

 

 

Spesso mi capita di osservare, sia nella mia esperienza di insegnante sia in quella di studente rispetto a me stessa, che le persone tanto più sono vicine ad una “meta” tanto più sofisticati divengono i meccanismi interiori per evitare a loro stessi di raggiungerla. Il più delle volte, o quasi sempre, questo non avviene consapevolmente. Più che altro ciò che si avverte è un fastidio, un peso interiore dovuto all’intuire in qualche modo che c’è uno sforzo da fare, che bisognerebbe abbandonare proprio quelle comodità della vita che ci siamo creati per evitare l’inevitabile. Ma quell’inevitabile è proprio ciò di cui avremmo bisogno per essere più aderenti a noi stessi, più interi, più veri, più felici. Ma proprio perché quasi sempre si costruisce tutto in funzione dell’evitarlo, e in qualche modo lo percepiamo anche se non ci è proprio chiaro, temiamo una catastrofe.

Mi è capitato di condividere il percorso con persone dotate di una sensibilità non comune a molti, in cui era evidente un grosso potenziale evolutivo e sono stata testimone della loro fioritura verso un maggiore contatto e aderenza a se stessi; persone che sono arrivate a farsi domande importanti sulla propria vita ed ho assistito ad un improvviso cambiamento di direzione, ad un ritirarsi per evitare il conflitto che quelle domande portavano a galla. Il conflitto che nasce proprio quando, divenuti più presenti a se stessi, si riconosce una scissione tra quella che è la propria vita attuale e ciò che si sente e si percepisce da questa nuova coscienza di sé. Insomma: un bel traguardo! Nasce uno spontaneo complimentarsi con coloro che lo hanno raggiunto e col contesto che lo hanno favorito.

Ma proprio quando si arriva ad un traguardo ci si può chiedere cosa farci e che direzione prendere. E’ un momento importante e delicato ed è soprattutto importante riconoscerlo per quello che è, definendone il senso. Se questo non avviene il rischio più grosso è di essere risucchiati dai vecchi automatismi che connettono ad un apparente e momentaneo senso di appagamento, non connesso ad un autentico benessere, quanto invece legato ad un senso di sicurezza relativo al rimanere nel conosciuto.

 

Il primo passo che disegna una direzione piuttosto che un’altra è la fuga dal contesto che ha permesso questa consapevolezza; la fuga da quella relazione impegnata tra individuo e contesto.

E’ ovvio che le strade sono due: una è quella dettata dalla paura e dall’automatismo ed è quella dello scappare che ci conferma nel ruolo di “vittime” degli altri, della vita (è ciò che ci diciamo) ma fondamentalmente vittime di noi stessi. L’altra, la più faticosa ma risolutiva, è restare ed affrontare ciò che va affrontato. E’ essere responsabili di se stessi. La paura di affrontare ciò da cui si scappa da una vita è dettata dalle idee condizionanti che ci siam fatti, pure sul come dovrebbero essere le cose se dovessimo decidere di farlo. Ci immaginiamo uno scenario figlio del nostro stesso condizionamento. Fin quando si rimane nella logica del pensiero tutto appare più tragico, difficile, a volte impossibile da intraprendere. Il pensiero è per sua natura duale, per cui la sua logica si avvale degli opposti: o questo o quello. Non è tra le facoltà del pensiero la contemplazione di una via integrativa che possa com-prendere la complessità degli opposti. E’ invece facoltà della coscienza. Il rischio quindi è quello di dar credito al condizionamento del pensare della propria mente.

 

Il vero inizio di un cammino di verità verso se stessi può avvenire proprio in un momento come questo. Quando, rispetto ad un entusiasmo e curiosità iniziale, pur aprendosi una via di fuga e nonostante le difficoltà che si percepiscono, si sceglie autonomamente di procedere senza più scappare. Si può scegliere di esserci totalmente. Questo è un vero inizio. Ciò che nelle varie scuole viene chiamata “iniziazione”. Ciò non avviene con la mancanza di paura, ma con la scelta di procedere nonostante questa, dando più spazio e affidandosi ad proprio desiderio di libertà, piuttosto che alla paura di libertà. Dar ascolto al proprio cuore invece che alla propria mente.

Paolo Menghi in un seminario agli studenti affermava:  “Un giorno se vorrete potete decidere se vivere per la voglia di libertà o per la paura di libertà”.

Mi sale sempre un brivido lungo la schiena nel sentire questa frase. Mi viene sempre da rinnovarmi la domanda anche se, tempo fa, ho fatto la mia scelta. Il dare una risposta autentica a se stessi, ogni volta, richiede impegno e responsabilità.

E' una scelta molto profonda che si fa tra se e se innanzitutto. Delinea due attitudini interiori molto diverse, che inevitabilmente tracciano due vie profondamente diverse e che nutriranno in tal senso non solo se stessi, ma tutto il proprio sistema d’appartenenza.

Ad ognuno la libertà e la responsabilità di scegliere.

Ma che si una scelta consapevole!

C’è uno scritto che riecheggia in me rispetto a questo. Eccolo …

 

TENERSI PER MANO

 

Da tempo credi

d’aver perso

il suo aiuto,

però guarda bene

perché la tua mano

è ancora dentro

la sua,

come quando andavi

a cercar qualcosa

da lui

una sera o un mattino, ricordi?

e pensavi: “perché?”

ma non c’era risposta

perché non c’eran più

pensieri,

soltanto la voglia sicura

di sfidare l’ignoto aspettando

insieme qualcosa

e trovarla sentendo

che tenersi per mano

era tutto.

 

Da “Il filo del sé”

Di Paolo Menghi

 

 

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