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Le dinamiche interiori nella pratica dello Yoga

di Cristiana Papa

Lo Yoga, come ormai risaputo, è una disciplina che agisce sui vari piani della persona; da quello fisico, emotivo, mentale, relazionale e spirituale.

L’azione dello Yoga è quella del perfezionare il funzionamento di questi piani, dello sviluppare la consapevolezza della loro connessione e la realizzazione della loro integrazione.

 

Ciò che più di rado ci si domanda è: ma come avviene tutto questo?

Come queste teorizzazioni possono divenire effettivamente realtà nella propria esperienza di vita?

 

Inutile dire che il fondamento primario è la pratica stessa. Solo la continuità prolungata nel tempo di una pratica costante può condurre a questa esperienza.

La pratica quindi è la base per cui avvenga ciò che deve avvenire.

 

Anche se ogni percorso nella Via dello Yoga è unico, è pur vero che ci sono dei passaggi, delle fasi che attraversate permettono di accedere, di volta in volta, a dei livelli più ampi di esperienza per la realizzazione stessa dello Yoga. Tali passaggi non sono né scontati, né automatici. Spesso le persone si accontentano dei primi risultati, in termini di maggiore benessere psico-fisico, senza intravedere la possibilità più ampia che tale disciplina implica.

Uno dei passaggi fondamentali avviene quando, sperimentando quel maggiore benessere fisico, emotivo e mentale, ci si accorge che questo star bene si scontra con la realtà della vita quotidiana e, a volte, più profondamente, con l’esistenza stessa che si conduce.

 

Diviene pian piano chiaro che la disciplina dello Yoga non può fermarsi all’esperienza della stanza di pratica e che necessita di una maggiore ampiezza. Quella ricerca di benessere, pace e armonia va estesa nella propria vita quotidiana e di relazione. Se non fosse così lo Yoga stesso non avrebbe senso; sarebbe espressione di una scissione che è l’opposto dello Yoga che è “Unità”, integrazione. E’ un passaggio molto delicato questo.

Se si ha la fortuna di arrivarci, succede che ci si sente delusi e sfiduciati. Si era partiti con entusiasmo delegando alla pratica una sorta di magia indipendente dal proprio volere e ci si ritrova consapevoli dell’inferno in cui si vive. Ma il passaggio è proprio questo; tutto ciò che si è fatto è stata una preparazione a questo momento che ci invita ad una maggiore armonia e interezza. Quando una persona diviene consapevole della propria sofferenza può cominciare a DESIDERARE più concretamente di star bene; quando comincia a desiderare veramente di star bene è necessario sviluppare la VOLONTA’ di star bene. La volontà di non scappare quando nella propria vita si manifesta qualcosa di doloroso che va affrontato e risolto in virtù dell’armonia ricercata. Armonia non vuol dire anestetizzarsi dalla sofferenza e da tutto ciò che ci fa star male fingendo che non ci sia; armonia vuol dire stare in contatto e comprendere dentro di sé quello che c’è anche se è doloroso, ma senza subirlo, il che richiede una certa consistenza interiore per essere presenti in quel contatto senza lasciarsi offuscare, e chiedersi: cosa posso fare per orientarmi verso una maggiore ampiezza? Come posso utilizzare quello che c’è in funzione di un’ottica evolutiva?

 

Stare in contatto, presenti in quello che c’è e porsi questa domanda permette di non identificarsi nella sofferenza, nelle emozioni, nel proprio io e vedere dentro di sé più possibilità di scelta e quindi di azione. Far questo richiede volontà. Allora ogni situazione della vita diviene Yoga. Yoga vuol dire esser presenti, imperturbati, al centro di tutte le manifestazioni interiori che si presentano e ci attraversano senza reagire ad esse ma agendo volontariamente la propria volontà, e quindi scelta. E’ come quando nella pratica si assume una determinata posizione che, nonostante l’intento di rilassamento, richiede un certo sforzo. Se non ci si sottrae a quello sforzo, l’attitudine alla presenza e al rilassamento ci mette in contatto con quello che c’è, da svegli; non attraverso il fingere che non ci sia dolore irrigidendosi per tenere il punto, oppure mollando per evitare il contatto, ma rimanendo al centro della manifestazione di queste polarità che ci abitano contemporaneamente. Rimanere presenti all’attrito interno che si sviluppa ricercando presenza e rilassamento ad ogni respiro. Immaginiamo di scattare una foto interna a ciò che si manifesta in questa situazione: dopo un po’ che si tiene la posizione emergeranno più voci interiori connesse alle sensazioni fisiche e allo stato emotivo che quelle sensazioni risvegliano; tra le tante fondamentalmente ci saranno 2 tendenze: una voce che si aggancerà alle sensazioni ed emozioni spiacevoli che ci suggerirà di mollare e l’altra in contatto col desiderio di superamento ci suggerirà di tenere.

 

Nella vita quotidiana si presenta continuamente lo stesso scenario ma difficilmente se ne diviene consapevoli. Si lasciano passare queste, più o meno, lievi sfumature interiori senza dargli peso. Senza comprendere che il training di pratica formale ad altro non serve se non a prepararci ad affrontare “ben attrezzati e forgiati” una ad una le situazioni che la vita ci propone. A questo punto mantenere la continuità nella pratica formale è fondamentale, ma ciò avviene ad un altro livello. Ogni respiro, movimento, posizione e nostra attitudine nella pratica diviene metafora della propria vita; e il training continua a livelli più profondi di coscienza.

 

Oggi si sente molto parlare di presenza nel qui ed ora, della consapevolezza della pratica meditativa e di come portarla nella vita quotidiana.

Essere presenti a se stessi nella vita quotidiana è fondamentale, ma per far cosa?  Essere presenti è una ricerca continua ma è anche la base perché qualcosa avvenga. La presenza ci permette di VEDERE innanzitutto noi stessi e i contenuti interiori in un campo più ampio, la nostra vita che è fatta di relazione, con noi stessi e con gli altri. Vedere quanto si “subisce”, in qualche modo, ciò che viene dall’esterno è il primo passo; il secondo è vedere con più chiarezza che quel “subire” non viene dall’esterno ma da noi stessi; il terzo passo, vedendoci responsabili di noi stessi, di ciò che diciamo e agiamo è intervenire, agire consapevolmente. A questo punto l'azione può muoversi fondamentalmente in due direzioni: verso una maggiore ampiezza e autonomia o verso una maggiore scissione e obnubilamento.

Il movimento delle dinamiche interiori che ci attraversano e ci guidano interverranno nell’una o nell’altra direzione.

Meditare vuol dire essere presenti nell'attrito tra tutti quei movimenti interiori e in contrasto tra loro che ci attraversano; nel momento in cui si compie un’azione vuol dire che ne abbiamo privilegiato uno; questo può avvenire consapevolmente o inconsapevolmente. La differenza è che se ciò avviene inconsapevolmente, si è padroneggiati dai propri stati interiori e ciò non rende possibile imprimere una direzione alla propria volontà e quindi alla propria vita. Se si è consapevoli, si sceglie che direzione dare a se stessi. Ogni scelta porta ad una separazione, o questo o quello. Ma è proprio dall’insieme delle scelte consapevoli che si costruisce un percorso che dà senso alla propria vita e che ci permette di verificare, ad ogni passo la direzione. Procedendo in questo modo, attraverso una ricerca onesta, confrontandoci con chi procede nel medesimo percorso, andando avanti, resterà solo l’essenziale. Tutto ciò che non lo era per noi, andrà via.

 

Tutto questo è molto impegnativo; è frutto infatti di una “disciplina interiore” quale lo Yoga è. E’ molto diverso praticare lo Yoga aspettandosi che automaticamente succeda qualcosa. Qualcosa, tra l’altro, che ci si aspetta perché frutto comunque del proprio condizionamento. Lo Yoga non è la pillola del benessere come oggi si è abituati a pensare. Lo fai e il dolore scompare.

 

Lo Yoga è lo strumento che, perfezionandoti, ti rende possibile utilizzare tutto il potenziale, altrimenti sopito, sconosciuto e quindi sprecato, già presente dentro te stesso, per far ciò che vuoi; per scoprire “cosa” vuoi veramente, per imprimere una direzione alla tua vita scoprendo la bellezza, il piacere e l’intensità della vita, nel cimentarti appassionatamente in questa ricerca.

 

Ringrazio tutti quelli che condividono con me questo percorso perché con il loro cimento mi insegnano ad imparare dall’esperienza, loro e mia.

 

 

 

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